Nella notte tra il 10 e l’11 maggio 2024 i cieli notturni di tutto il territorio nazionale si sono colorati di emissioni aurorali, un fenomeno particolarmente raro alle nostre latitudini. Cerchiamo di ricostruire brevemente in questo articolo passo per passo quali sono gli eventi che si sono verificati dal Sole fino alla Terra e che hanno portato a questo fenomeno spettacolare.
Si può dire che tutto ha avuto inizio all’arrivo (con la normale rotazione solare) nell’emisfero visibile di un nuovo gruppo di macchie solari già piuttosto esteso fin dal 2-3 maggio ed identificato col numero NOAA 13664 (Fig. 1). Questa regione aveva tuttavia inizialmente una configurazione magnetica piuttosto semplice ossia dipolare (classificata come regione di tipo beta), quindi con bassa probabilità di eruzioni solari. A partire però circa dal 6 maggio un nuovo gruppo di macchie (numerato 13668) ha iniziato ad emergere ad Est del gruppo preesistente, non solo aumentando in modo molto significativo l’estensione longitudinale della regione, ma soprattutto aumentando la complessità della configurazione magnetica (classificata come beta-gamma delta, ossia un gruppo di macchie con una complessità dei campi magnetici tale da impedire una chiara separazione tra due polarità e contenente regioni di ombra di polarità opposta all’interno di una singola regione di penombra).
L’aumento di complessità magnetica ha portato ad un’improvviso aumento dell’attività eruttiva da questa regione che a partire dalla fine del 7 maggio ha iniziato ad emettere molteplici brillamenti di classe M e soprattutto di classe X, in accordo con la classificazione fornita dalle misure acquisite dal satellite GOES della NASA. In particolare si sono contati 11 brillamenti di classe X dalla stessa regione nei giorni successivi fino alla sua sparizione dietro al bordo visibile del sole (Tab. 1), ed un numero molto maggiore di brillamenti di classe M.
Tra i vari brillamenti più intensi, alcuni hanno prodotto anche delle vere e proprie espulsioni coronali di massa (o Coronal Mass Ejections – CMEs) in gran parte dirette verso terra e perciò denominate “halo CME”, data la posizione piuttosto favorevole prossima al centro dell’emisfero visibile da terra della regione sorgente. In particolare i tre brillamenti del 8 maggio di cui due di classe X1.0 con picco alle 05:09 e 21:40 UT, ed uno di classe M8.6 con picco alle 12:04 UT, hanno prodotto tre eruzioni solari dirette verso terra e visibili nelle Fig. 2, 3, e 4.
A partire dalle velocità stimate in modo semi-automatico diversi modelli hanno fornito diverse stime dei tempi di arrivo a Terra, in particolare il modello WSA-ENLIL ha previsto che le 3 eruzioni arrivassero rispettivamente ai tempi 2024-05-10T12:14, 2024-05-11T01:39Z, e 2024-05-10T23:46Z, con tempi di propagazione rispettivamente di 41.5 ore, 57.3 ore e 28.2 ore. In particolare la terza e ultime eruzione è risultata quindi avere una velocità molto maggiore delle due precedenti, un fenomeno questo che può portare nel corso della propagazione interplanetaria al verificarsi di un fenomeno noto come “cannibalismo tra CMEs”. In casi come questo l’eruzione successiva più veloce raggiunge nel corso della sua propagazione le eruzioni precedenti più lente, portando ad una significativa amplificazione dei possibili effetti geomagnetici a Terra. Questo fenomeno come previsto dal modello WSA-ENLIL è mostrato in Fig. 5 che evidenzia proprio la sovrapposizione tra le eruzioni prima del loro arrivo a Terra previsto per la notte tra il 10 e l’11 maggio 2024.
Infine, l’arrivo dell’eruzione a Terra è stato effettivamente identificato nei dati acquisiti dai satelliti posti nel punto Lagrangiano L1 (posto circa a 1.5 milioni di km dalla Terra lungo la congiungente Terra-Sole). In particolare i dati di ACE hanno mostrato l’arrivo tra le ore 16:30 e 16:45 UT del 10 maggio di un’onda d’urto di plasma con importanti componenti Bz del campo magnetico interplanetario negative. Queste componenti sono tra le principali cause della successiva “apertura” degli strati più esterni della magnetosfera terrestre per riconnessione magnetica.
Gli effetti geomagnetici si sono fatti sentire immediatamente a Terra, come mostrato dall’evoluzione dell’indice Dst (Fig. 6). Le misure mostrano infatti già alle ore 17-18 UT del 10 maggio la presenza di un breve picco nell’indice Dst, denominato “sudden impulse” e chiaro identificatore dell’inizio della tempesta geomagnetica. A seguire nelle ore successive il valore dell’indice Dst è successivamente crollato (la cosiddetta “main phase” della tempesta geomagnetica, connessa con l’intensificazione delle correnti ad anello localizzate nella parte più interna della nostra magnetosfera), fino a raggiungere un valore minimo di Dstmin = -412 nT alle ore 03 UT del 11 maggio. L’indice Dst ha poi iniziato progressivamente a risalire nelle ore successive (“recovery phase”, in corrispondenza della successiva dissipazione delle correnti ad anello). L’andamento osservato è molto simile a quello riportato in occasione di altre tempeste geomagnetiche molto intense (come ad esempio il famoso “evento della Bastiglia” dei giorni 14-16 luglio del 2000).
E’ proprio in queste ore che a Terra è stata riportata l’osservazione di emissioni di tipo aurorale anche a latitudini piuttosto basse. Data l’ora di arrivo prevista delle eruzioni, il modello OVATION della NOAA (Fig. 7) prevedeva la possibilità di osservazione di emissione aurorale su gran parte dell’Europa fino ad arrivare a lambire l’Italia del Nord. In effetti alla fine emissioni aurorali significative sono state riportate da moltissimi spettatori, emissioni di colori diversi con predominanza di emissione nel rosso, e variabilità temporale piuttosto rilevante con forme a “drappeggi verticali” tipiche delle aurore boreali (e quindi alla precipitazione di particelle energetiche lungo le linee del campo magnetosferico), ma che possono essere associabili anche al fenomeno denominato SAR (Stable Auroral Red arch) e legato al riscaldamento dell’alta atmosfera connesso con l’intensificarsi delle correnti ad anello. Un esempio di osservazione di emissione aurorale è mostrato in Fig. 8 come osservato dall’autore di questo articolo.
Questo articolo ci ricorda quindi ancora una volta come il monitoraggio continuo dell’attività solare sia fondamentale, dato soprattutto il possibile rischio tecnologico collegato ad eventi di questo tipo che possono produrre delle conseguenze di rilievo a Terra nel tempo di soli 4-5 giorni a partire dall’osservazione dell’emersione di un nuovo gruppo di macchie solari sull’emisfero visibile del sole.