Una sorgente transitoria di raggi X osservata nell’alone di una galassia ellittica potrebbe essere un raro esempio di buco nero più grande di quelli formati da stelle massicce, ma più piccolo dei tipici buchi neri supermassicci che si trovano nei nuclei della maggior parte delle galassie. La scoperta è stata pubblicata sull’Astrophysical Journal (Yi-Chi Chang et al. 2025, “Multiwavelength Study of a Hyperluminous X-Ray Source near NGC 6099: A Strong IMBH Candidate”) da un team che comprende anche un ricercatore di INAF-OATo, Roberto Soria.
Gli elusivi oggetti analizzati in questo studio sono noti come “intermediate mass black holes” (IMBHs), cioe’ buchi neri di massa intermedia, con masse comprese tra alcune centinaia e alcune centinaia di migliaia di volte la massa del Sole. La teoria prevede l’esistenza di IMBH nel nucleo di densi ammassi stellari (globular clusters) e nei nuclei di galassie nane, dove non hanno avuto abbastanza carburante per crescere fino a dimensioni supermassicce. Tuttavia, pochissimi IMBH sono stati osservati direttamente.
La galassia ellittica che sembra ospitare un IMBH luminoso ai raggi X è NGC 6099, situata a 450 milioni di anni luce da noi, nella costellazione di Ercole. La sorgente di raggi X dista almeno 40 mila anni luce dal nucleo galattico. Ha attirato l’attenzione degli astronomi per la prima volta nel 2009, quando è stata rilevata dal Chandra X-ray Observatory della NASA: appariva già insolitamente luminosa per un buco nero di massa stellare. Osservazioni successive nel 2012 con l’osservatorio a raggi X XMM-Newton (telescopio spaziale dell’ESA) hanno mostrato che era diventato 100 volte più luminoso rispetto al 2009. Le nuove osservazioni a raggi X del 2023, sempre con XMM-Newton, hanno mostrato un declino al livello del 2009.
L’estrema luminosità in banda X (troppo alta per un buco nero stellare) e la temperatura caratteristica della radiazione sono consistenti con quelli che ci aspettiamo da un IMBH. Ma come è finito un IMBH nella periferia di quella galassia ellittica? Uno scenario è che l’IMBH si sia inizialmente formato nel nucleo di una piccola galassia satellite vicino a NGC 6099. Quando la galassia satellite è sprofondata e si è dissolta nell’alone della compagna più grande (come spesso accade per piccole galassie satelliti), il suo IMBH nucleare è rimasto a galleggiare nella periferia di NGC 6099, ancora circondato da un ammasso di stelle strettamente legato gravitazionalmente. Se questo scenario è corretto, gli IMBH nell’alone delle grandi galassie sono una testimonianza fossile della crescita di quella galassia attraverso l’accrescimento di compagne più piccole.
Perché l’IMBH è diventato così luminoso negli ultimi anni? L’alta luminosità in banda X è il segnale che un buco nero sta inghiottendo una grande quantità di materiale. Nella remota periferia di NGC 6099 c’è pochissimo gas. Tuttavia, se l’IMBH si trova all’interno di un denso ammasso di stelle, una di queste potrebbe essere passata troppo vicino al buco nero e potrebbe essere stata distrutta e ingerita, dando origine all’emissione di raggi X. Gli astronomi chiamano questo processo “tidal disruption event” (letteralmente, “evento di perturbazione mareale”).
Il team di ricercatori ha poi condotto ulteriori osservazioni di NGC 6099 nelle bande ottiche con il telescopio spaziale Hubble, trovando una sorgente ottica luminosa e compatta nel punto esatto in cui si trovava la sorgente di raggi X. Questo è coerente con la presenza di un ammasso di stelle intorno all’IMBH.
Per gli studi futuri, trovare altri IMBH che si accendono improvvisamente nell’alone di grandi galassie ci dirà quanti di questi buchi neri (di solito invisibili) ci sono nell’Universo vicino, quanto spesso distruggono una stella e come le galassie più grandi sono cresciute assemblando galassie più piccole.
Un problema pratico di questi studi è che Chandra e XMM-Newton osservano solo una piccola frazione del cielo, quindi hanno pochissime possibilità di trovare tidal disruption events che si verificano in punti casuali del cielo. Il telescopio cinese a raggi X Einstein Probe, lanciato nel 2024, ha invece un campo visivo più ampio e quindi maggiori possibilità di trovare transienti X. Nelle bande ottiche, il Legacy Survey of Space and Time (LSST), dell’Osservatorio Rubin in Cile, rileverà tali eventi fino a centinaia di milioni di anni luce di distanza. Sia Einstein Probe che LSST vedono la partecipazione di astronomi INAF-OATo nei rispettivi team scientifici. Le osservazioni successive con i telescopi spaziali Hubble e James Webb potranno poi rivelare l’esistenza e le proprietà degli ammassi stellari intorno a questi IMBH.
Per ulteriori approfondimenti:

Immagine Hubble della coppia di galassie NGC 6099 (in basso a sinistra) e NGC 6098 (in alto a destra). L'oggetto viola vicino a NGC 6099 e' la luminosa sorgente X scoperta dalle osservazioni Chandra e XMM-Newton. I fotoni X sono probabilmente prodotti da un intermediate mass black hole che ha distrutto e sta ingoiando una stella passata troppo vicina.